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LA RADIO COME STRUMENTO E COME MEDIUM

Ode al mio primo strumento

La radio rappresentava sia una sorgente di suoni casuali irripetibili (preferibilmente grazie alle onde corte o lunghe che provenivano da varie parti del mondo) sia una sorta di

sintetizzatore primordiale con fischi, segnali morse e altro che spesso interagivano con altri oggetti metallici posti sull’antenna. I modi di usare la radio erano praticamente due: seguire quello che ne usciva o suonarla come un sintetizzatore dalle possibilità imprevedibili. Entrambi contribuivano a dare un senso di avventura alla sperimentazione sonora con qualcosa di assolutamente incontrollabile che proveniva dall’etere. L’etere è una sostanza avvolgente, multidimensionale e atemporale, dove si poteva entrare in comunicazione con altre dimensioni e ricevere messaggi lanciati chissà quando e chissà da dove.

I miei primi collage radiofonici erano un assemblaggio di suoni presi dall’etere agendo sulla manopola, ben prima di essere trattati con delay o effetti vari, usati anche come basi per escursioni sonore.



La mia passione per la radio merita tuttavia una piccola cronistoria. Sono cresciuto con una di quelle radio a mobile con i transistor che si scaldavano ed ero così affascinato oltre che dai suoni da quei nomi di luoghi che leggevo che erano per me delle proprie valvole per la fantasia (Monte Ceneri, Hilversum, Kinshasa). Poi, l’acquisto di un registratore Geloso da parte dei miei cambiò totalmente la mia vita quotidiana, alla ricerca sempre di qualche canzone da registrare, per cui imparai l’arte del mentalismo senza saperlo, cercando di trovare quello che cercavo chiedendolo e devo dire che qualche volta ci prendevo. La mia prima radio portatile arrivò con la comunione e naturalmente aveva ciò che desideravo e a cui avrei dedicato parti delle mie notti: le Onde Lunghe, le Onde Corte e le Onde Cortissime. In pieno trip cosmico, mi sembrava di captare i suoni e le voci degli astronauti, ma di certo sentivo suoni e voci arabe, indiane, giapponesi, africane e di tutto il mondo. A volte le stazioni arrivavano disturbate da fischi e ronzii che le rendevano alle mie orecchie ancora più affascinanti! Poi acquistai una radio ancora più potente e arrivò la rivoluzione delle radio libere, a cui partecipai direttamente, ma è un’altra storia!

Intanto avevo scoperto la musica cosmica, i Can, i Kraftwerk, i Cluster e gli Harmonia, il Battiato elettronico e quello del collage “Goutez et Comparez”, Stockhausen, il minimalismo. Alcuni segnali di radio libere erano elettronici e a me suonavano come le percussioni elettroniche dei Kraftwerk o degli Harmonia e cominciai a cercare di modificarne il suono, visto che avevo maturato una certa capacità di usare l’antenna a tale scopo. Inoltre avevo scoperto che sintonizzando due apparecchi radio sulla stessa frequenza e spostando di pochissimo la sintonia di uno dei due si veniva a produrre un effetto che mi ricordava le opere di Terry Riley, Steve Reich o LaMonte Young… La cosa stupefacente è che passavo molto tempo a seguire questi suoni che entravo in uno stato di “trance” tutt’altro che statico, dove mi sembrava succedesse tanto e soprattutto che al variare di una fonte sonora accadesse qualcosa anche all’altra per cui non si ritornava mai allo stato iniziale. A quei tempi non avevo ancora un mio registratore, ma grazie alla magnamità del mio cognato, che mi aveva tra l’altro fatto scoprire tanti musicisti e musiche strepitose, riuscivo a registrare alcune session di cui rimane qualche traccia come nel brano “Paranoia Train”. Poi con il tempo e i miei esperimenti personali registrati, ho cominciato a prendere coraggio e a interagire con altri miei amici compagni di avventure. La radio faceva parte del nostro corredo di strumenti che ci portavamo nelle nostre session d’improvvisazione musicale all’aperto, sia notturne sia al tramonto o durante l’esplorazione di luoghi particolarmente ricchi di vibrazioni particolari come case abbandonate, vecchie chiese o dove si percepivano energie molto intense. Capitava spesso che la radio (o le radio) catturassero l’umore di quei posti e interagivano con la musica che si veniva a generare. Mi ricordo ancora oggi il mio piacere nel vedere nuovi apparecchi radio o radioline di parenti far parte del nostro “plat de jour”. Insomma se c’era la radio c’era sicuramente qualche fattore fuori controllo e un sapore imprevedibile da aggiungere a ciò che era già imprevedibile… Era l’ospite attivo dei molti happening che si svolgevano a quei tempi, sia all’aperto che dentro una casa. Ho continuato a portare la radio fino a pochissimi anni fa durante session improvvisate ma anche in contesti di gruppo più organizzati…


Lo sviluppo dei suoni della radio nel mio “giro” andò di pari passo con l’uscita del mitico “My Life in The Bush of Ghosts” di Brian Eno & David Byrne. Nel 1981 durante una session domestica con l’amico Valerio Martinelli utilizzammo anche due radio per le nostre improvvisazioni e così nacquero “The River” e “The Road for Ryad” che rappresentano il top della radio come elemento improvvisativo medianico fine a se stesso. Infatti, dalla radio escono improvvisamente suoni di strumenti e voci che interagiscono perfettamente con lo sviluppo dei due brani improvvisati, fino a favorirlo in un flusso assolutamente libero nel quale si è immersi totalmente. L’esperienza costituirà un punto clou che poi determinerà la nascita dei Sad Sand, nelle cui registrazioni la radio è spesso presente, così come in alcune cose dei Drunk Ears. Continuerò ad utilizzare la radio come strumento personale anche in quegli anni. Ho assemblato buona parte del materiale radio nel cd “Moon in Third House – Radio Generator ” quarto disco del cofanetto “ROBERT THIRD COLLECTION” . Il significato del titolo della compilation è presto spiegato: avendo nel mio tema natale la Luna in Sagittario in terza casa, sono portato ai suoni quotidiani, all’ascolto della radio e la mia sensibilità e fantasia (Luna) si accendono di fronte agli spazi vasti, alla geografia e alle tematiche del viaggio.






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